Una voce e una chitarra contro il fascismo

Victor Jara (1932-1973)
Cantautore, musicista, regista teatrale, poeta e militante antifascista.

Nasce in un paesino con vitali radici folcloristiche. Suo padre è contadino e sua madre una cantante chitarrista mapuche, sarà da lei che Victor erediterà la passione per la musica. Proprio con la chitarra di sua madre, poco più che bambino, inizierà a cimentarsi come musicista e compositore.
Nonostante sia obbligato a lavorare nei campi dall’età 8 anni, specialmente sua madre farà in modo che la sua istruzione non venga trascurata.
Nella speranza di migliorare la propria situazione economica, la famiglia si trasferisce a Santiago, dove Victor frequenterà il liceo con il fratello.
La madre, che mantiene la famiglia, qualche anno dopo si ammala e muore. Intanto Victor, con altrə ragazzə del quartiere, entra a far parte del Partido Demócrata Cristiano, un gruppo giovanile che sotto la direzione dei parroci pratica: escursioni, sport, lezioni di musica e studi religiosi. Comincia ad aspirare addirittura al sacerdozio ed entra in seminario. Ne uscirà due anni dopo capendo che la sua scelta fosse stata pesantemente influenzata dalla perdita della madre.
Poco più che ventenne, entrerà nel coro dell’Università del Cile e comincerà un lavoro di ricerca e salvaguardia della cultura folclorica, mettendola in relazione con la musica.
Tre anni dopo, inizia a studiare recitazione e diventa membro della compagnia teatrale Compañía de mimos de Noisvander, e nemmeno trentenne debutta con l’opera teatrale Parecido a la felicidad di Alejandro Sieveking.
Nel 1961, compone la sua prima canzone, “Paloma quiero contarte” e continua a lavorare come assistente alla regia. Si laurea, quindi, come regista di teatro divenendo professore di recitazione e direttore della Academia de folclore de la Casa de la Cultura. Entra inoltre a far parte di un collettivo di registə.
Nonostante il teatro gli porti via molto tempo, continua a comporre musica, talvolta anche per il teatro.
I suoi sforzi verranno premiati con il Laurel de oro come miglior direttore e con il premio della critica del circolo dellə giornalistə.
Nel 1966 invece, esce il suo primo LP, “Víctor Jara“, per cui riceverà diversi premi.
Parteciperà alla campagna elettorale di Unidad Popular e mentre registra un altro disco, diventerà Ambasciatore Culturale del medesimo partito. Prenderà anche parte al Dipartimento de Comunicazione dell’Università Tecnica Statale, insieme a Violeta Parra e agli Inti Illimani.
Altri dischi, altri premi. Comincia a lavorare come compositore per la televisione cilena. Visita l’URSS e Cuba e dirige l’omaggio a Pablo Neruda per la vittoria del Premio Nobel.
Continuerà intanto a usare la musica come difesa per lə contadinə e per raccontare e denunciare le ingiustizie della società in cui vivono. Dirigerà poi, un ciclo di programmi televisivi contro la guerra e il fascismo.
Nel 1973 con il golpe contro Allende, Augusto Pinochet prende il potere. Victor viene fatto prigioniero insieme ad altre migliaia di persone e condotto allo Estadio Nacional de Chile, trasformato in campo di concentramento. Sarà poi trasferito nel vicino Estadio Chile, dove rimarrà diversi giorni fino all’esecuzione. In prigionia, scriverà la sua ultima canzone, suo testamento e testimonianza agghiacciante dell’orrore del regime Pinochet.
I fascisti gli romperanno le mani con il calcio di una pistola, gli taglieranno la lingua, lo denuderanno e infieriranno sul corpo con un coltello per finirlo poi a colpi d’arma da fuoco. Sua moglie racconterà di averlo trovato riverso in mezzo una catasta di almeno 70 cadaveri. Il corpo orribilmente deformato dalle torture, ma nella sua tasca, su un pezzo di carta sudicia, la sua ultima canzone. Durante il regime la vendita dei suoi dischi sarà vietata e sarà ordinata la distruzione di tutte le matrici, fortunatamente invano.
Victor resterà immortale grazie alla sua musica, per sempre.
Ci vorranno oltre 40 anni perché gli assassini di Yara siano ritenuti colpevoli dello scempio commesso.


“Siamo in cinquemila,
qui, in questa piccola parte della città.
Siamo in cinquemila.
Quanti siamo, in totale, nelle città di tutto il paese?
Solo qui, diecimila mani che seminano e fanno marciare le fabbriche.
Quanta umanità in preda alla fame, al freddo, alla paura
al dolore, alla pressione morale, al terrore, alla pazzia.

Sei dei nostri si son persi nello spazio stellare.
Uno morto, uno colpito come non avrei mai creduto
si potesse colpire un essere umano.
Gli altri quattro hanno voluto togliersi tutte le paure.
Uno saltando nel vuoto,
un altro sbattendosi la testa contro un muro,
ma tutti con lo sguardo fisso alla morte.

Che spavento fa il volto del fascismo!
Portano a termine i loro piani con precisione professionale
E non gl’importa di nulla.
Il sangue, per loro, è una medaglia.
La strage è un atto di eroismo.
È questo il mondo che hai creato, mio Dio?
Per tutto questo i tuoi sette giorni di riposo e di lavoro?
(…)
Canto, che cattivo sapore hai
Quando devo cantar la paura.
Paura come quella che vivo,
Come quella che muoio, paura.
Di vedermi fra tanti e tanti momenti di infinito,
in cui il silenzio e il grido
sono i fini di questo canto.

Ciò che ho sentito e che sento
Farà sbocciare il momento.”

Di zovich

Sono una creatura selvatica, sono gramigna, sono strega ecotransfemminista, sono acqua che scorre e scava la pietra, non tollero i confini e le sovrastrutture che mi impediscono il movimento. Sono l'urlo muto delle galere, dei cervi braccati, delle donne* uccise. Sono mani spesse che seminano. "Torce nella notte" nasce come progetto benefit e di propaganda a sostegno della Rivoluzione del Rojava e dei suoi valori grazie la vendita di stampe, stands e collaborazioni probono.