Da partigiano a vittima dell’Italia “liberata”

Belgrado Pedrini (1913-1979)
Scrittore, poeta, anarchico e partigiano.

Belgrado Pedrini nasce a Carrara il 5 maggio 1913, da una famiglia proletaria. Il suo pensiero politico, orientato verso l’individualismo anarchico, sarà fortemente influenzato dalle letture giovanili di: Stirner, Bakunin, Nietzsche, Kropotkin e Malatesta. All’avvento del fascismo risponderà con l’antifascismo militante finendo in galera come sovversivo a Pianosa, dove resterà un anno e conoscerà moltə altrə antifascistə, fra cui Pertini.
Ricercato dall’OVRA (polizia di regime), con altri due militanti per aver aggredito e derubato un gruppo di fascisti, si trasferisce a Milano. In novembre con gli stessi compagni è sorpreso ad affiggere dei manifesti antimilitaristi. I tre fuggiranno l’arresto dopo uno scontro a fuoco, riuscendo a raggiungere prima Genova e poi La Spezia. Nel frattempo il quotidiano Il Popolo d’Italia li bollerà come “malfattori e sabotatori della resistenza morale delle forze armate”.
Verranno in seguito individuati da alcuni agenti. Altro tentativo di arresto altra sparatoria, ma questa volta un poliziotto ci rimetterà la vita. Pedrini è dunque arrestato e trasferito nel carcere di Massa. Mentre è in attesa del processo, alcunə partigianə anarchichə della formazione Elio Wochiecevich, riescono a liberarlo. Deciderà così di unirsi a loro nella lotta contro i nazifascisti.
Prenderà parte a numerosi scontri e azioni di sabotaggio, in particolar modo nella zona delle Alpi Apuane.
Caduto il fascismo, Pedrini sarà nuovamente condannato, questa volta dallo “stato democratico”.
Una volta appeso Mussolini infatti, la sinistra italiana preferì spartirsi le poltrone con Badoglio, Graziani e altre note personalità fasciste. Preferirono fare fronte comune contro lə anarchichə, come i bolscevichi in Russia.

Ancora oggi alle commemorazioni sulla Resistenza, le brigate anarchiche non vengono menzionate o peggio, sono state assorbite da quelle comuniste. Poco importa che nella resistenza al fascismo fossero sempre statə lə primə a reagire e ultimə a lasciare il campo di battaglia, In Italia, come in Spagna.
Nel 1946 Togliatti, che per l’appunto si era già distinto come boia d’anarchichə per conto di Stalin in Spagna, concederà l’amnistia ai fascisti, lasciando lə anarchichə in galera a marcire oppure “vendendolə” alle truppe nazifasciste. Pedrini quindi, sarà nuovamente arrestato per i fatti del 1942. Corre l’anno 1949, condannato inizialmente all’ergastolo per “reati comuni”, sconterà in prigione 30 anni. Trascorrerà il tempo, dedicandosi allo studio dei classici della filosofia e della letteratura. Diventato un apprezzato uomo di cultura autodidatta. Nel carcere di Fossombrone, nel 1967 scriverà la nota Schiavi. La poesia verrà successivamente riadattata come testo per la famosa canzone anarchica Il Galeone, su aria dello stornello popolare Se tu ti fai monaca (che parla di stalking definendolo corteggiamento, come secondo tipico modello patriarcale). Il 5 ottobre 1974, la poesia di Belgrado sarà pubblicata su Presenza anarchica, supplemento quindicinale a Umanità Nova, a cura dei gruppi anarchici riuniti di Massa e Carrara.
Nel 1974, ormai vecchio, Pedrini viene graziato dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, ma tuttavia non sarà scarcerato, dovendo ancora scontare 3 anni per tentata evasione, (reato che non rientra nello stato del graziato). Sarà quindi trasferito a Pisa per scontare la pena residua. Grazie a una vigorosa campagna mediatica in suo favore, tornerà finalmente in libertà “anticipatamente”.
Negli ultimi 5 anni che gli restano da vivere, parteciperà alla fondazione di un circolo culturale anarchico che in seguito sarà intitolato Bruno Filippi. In seguito stamperà numerosi manifesti e volantini, impegnandosi nella ristesura de L’Iconosclasta! di Filippi e nella pubblicazione del giornale L’Amico del Popolo, che vedrà la luce qualche mese dopo la sua scomparsa.
Muore a Carrara nel 1979.

 

Schiavi

Siamo la ciurma ignota di un galeon mortale
su cui brontola il tuono dell’avvenir fatale
Mai orizzonti limpidi schiude la nostra aurora
e sulla tolda squallida urla la scolta ognora
I nostri dì s’involano tra fetide carene
siam macri, emunti schiavi stretti in ferral catene
Nessun nocchiero ardito sfida dei venti l’ira ?
Pur sulla nave muda vespero ognun sospira!
Sorge sul mar la luna ruotan le stelle in cielo
ma sulle nostre tombe steso è un funereo velo

Torme di schiavi adusti chini a gemer sul remo
spezziam queste carene o chini a remar morremo
Remiam finchè la nave si schianti sui frangenti
alte le rossonere tra il sibilar dei venti
Cos’è gementi schiavi questo remar remare?
meglio cader da prodi sul biancheggiar del mare
E sia pietosa coltrice l’onda spumosa e ria
ma pera in tutto il mondo l’infame borghesia
Falci del messidoro picche vermiglie al vento
sarete i nostri labari nell’epico cimento

Su, su gementi schiavi l’onda gorgoglia e sale:
di già balena e fulmina sul galeon fatale

Si schiavi all’armi all’armi! Pugnam col braccio forte
gridiam gridiam giustizia
o libertade o morte.

Di zovich

Sono una creatura selvatica, sono gramigna, sono strega ecotransfemminista, sono acqua che scorre e scava la pietra, non tollero i confini e le sovrastrutture che mi impediscono il movimento. Sono l'urlo muto delle galere, dei cervi braccati, delle donne* uccise. Sono mani spesse che seminano. "Torce nella notte" nasce come progetto benefit e di propaganda a sostegno della Rivoluzione del Rojava e dei suoi valori grazie la vendita di stampe, stands e collaborazioni probono.